Dopo aver lasciato Oaxaca, sono arrivata in Chapas e qui la povertà è ancora più profonda e radicata.
I bambini circolano per strada sporchi, senza scarpe, e spesso non sorridono. Qui i bambini che ho visto, spesso piangono e nemmeno la mia banale caramella li rende un pò più sereni. Bambini che portano altri bambini in specie di sacchi da dorso che questa popolazione ha adottato nei secoli per tenere i bimbi sempre con se: quando si lavora, quando si fa da mangiare, quando si va in bagno. Sacchi che costringono questi piccoletti a posizioni innaturali (non sono i nostri passeggini o culle) e che, in piena età dello sviluppo, non potranno che regalare loro, ossa storte e posture errate.
Bambini piccolissimi che vengono allattati per strada, che vengono curati da malattie magari gravi, con sciamani che gli “ruttano” coca cola in faccia.
Bambini che sono ancor meno fortunati dei bambini di Oaxaca perché un centro di accoglienza non ce l’ hanno e la scuola non la vedranno mai in vita loro perché per loro non c’è nessuno che lavora sul famoso “diritto di scelta”.
Queste popolazioni sono le uniche che mantengono un tasso di natalità elevato al mondo. Noi che siamo ricchi e benestanti pianifichiamo i nostri figli in base alle risorse economiche che accumuliamo. I bambini per noi sono un programma di lungo termine e spesso finiamo con non farli. Queste popolazioni sfornano decine di bambini: bambini a cui lasceremo il mondo. Bambini che guardano con invidia altri bambini solo perché indossano un paio di scarpine e non circolano a piedi nudi. Bambini che perdono i loro diritti e ogni senso di eguaglianza fin da piccoli. Bambini che se sono fortunati arrivano a 30 anni dimostrandone 70 per la vita di stenti e privazioni che hanno condotto. Bambini che conoscono la strada meglio di casa loro e che conosceranno la fame, la prigione e molte altre disgrazie.

Non è ai nostri bambini che lasciamo il mondo; è a questi bambini che lo lasciamo, perché sono loro la maggioranza. Chissà forse dovremmo aiutarli di più. Forse dobbiamo fare qualcosa. Forse non basta pianificare un figlio nostro, forse è importante che ci rendiamo conto che oltre a nostro figlio con le scarpine di Armani ci sono bambini con dita dei piedi deformate dal freddo.
Ho pensato spesso che fare qualcosa per loro voglia dire fare qualcosa di grande a livello mondiale, che dedicare qualche ora da volontaria sia troppo poco. Poi mi sono resa conto che non potrò io, piccolina, fare qualcosa di globale, ma che sicuramente tante piccole Melissa e Pierluigi non potranno che indurre sorrisi e magari essere fautori di piccoli ma significativi cambiamenti per questi bambini a cui, anch’io, lascerò il mio futuro.

I bambini non sono mai colpevoli. Banale, detto da molti. Ma i bambini da soli, non sanno, non sono capaci di essere diversi. I bambini, tutti i bambini hanno bisogno. E hanno bisogno di soddisfare bisogni basici come la fame o come l’istruzione, primo baluardo dell’affermazione della propria libertà.
Chi li può aiutare se non noi? Come? Ci sono milioni di modi e se non ve ne viene in mente nessuno, io ho migliaia di suggerimenti tra i quali evitare una cena milanese e dedicare i miei 80 euro ad uno di loro.

Melissa e Pierluigi