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Chiapas, Messico qui non ci sono bambini grassi, il problema dei bambini di strada

Racconto di un viaggio in Chiapas di Melissa e Pierluigi per Mollare Tutto

Siamo in Messico da qualche giorno. Dopo aver visitato fugacemente Città del Messico, la capitale, ci siamo diretti verso sud, nel cuore messicano, in quella che è la parte più povera ma anche etnicamente più interessante di questo paese immenso e immerso nel sole: il Chiapas.

Dopo aver visitato il Sud America, ingenuamente pensavo di aver compreso appieno il concetto di povertà che caratterizza i paesi latino americani.
Paesi che, con l’arrivo degli spagnoli nel 500 (ma, va debitamente ricordato che i pirati e gli ex galeotti spagnoli che arrivarono sulle coste della MesoAmerica, solo erano la facciata utilizzata da imperi più potenti e sviluppati come Inghilterra, Olanda e Francia) e degli Americani dall’800 in poi, sono stati letteralmente “derubati” di tutto ciò che era di loro proprietà: pietre preziose, oro, argento, petrolio, riserve minerarie, risorse naturali (banalmente come lo zucchero) e medicinali, per non parlare di religione, cultura, modi di vivere e per finire con la dignità di essere uomini nel senso di esistere, essere al mondo.
Paesi da sempre declassati a popolazioni di secondo livello, imbrogliati e costretti a servitori del primo mondo in nome della nostra emancipazione civile e culturale. “Emancipazione” che ha radici nella distruzione degli altri, nella prevaricazione di ogni diritto: concetto di emancipazione alquanto distorto che aprirebbe fiumi di parole e dibattiti e che per ora metteremo da parte dandola semplicemente per acquisita.
Dopo aver visitato il Sud America, pensavo che non avrei più sgranato gli occhi di fronte ad un bambino che cerca di venderti caramelle o altro per strada. Pensavo che non mi sarei più stupita di vedere piedini nudi e storpi camminare tra la sporcizia di una favela o nel freddo dell’inverno.

Poi, siamo arrivati a Oaxaca e ho scoperto che alla povertà non c’è mai fine e che, a conferma di ogni stupida retorica, i bambini sono sempre coloro che ne subiscono le maggiori conseguenze.
Oaxaca è l’esempio peculiare delle contraddizioni di un paese che, sempre al terzo mondo appartiene, ma che per una serie di coincidenze (il turismo), ha avuto la possibilità di evolversi un pò più del resto del Messico.
Oaxaca è la classica cittadina di provincia arricchita che, come tale, è abitata da arricchiti (e non da ricchi, attenzione, la differenza è abissale) arroganti, presuntuosi e pieni di sé, che nemmeno si rendono conto che altre famiglie, altri bambini del loro stesso paese, muoiono di fame e mendicano per strada. E, anche se se ne rendono conto, non sono minimamente scalfiti dal tema.
Oaxaca è la città dei “bambini della calle, della strada”. è qualcosa che non si può descrivere con poche righe, vedere tutti questi bambini tra i 3 e i 15 anni che passano la maggior parte del loro tempo in strada cercando di venderti qualcosa. Qualsiasi cosa, anche la più inutile, quella che non ti compreresti mai.

Abbiamo trascorso alcune settimane presso il Centro de Esperanza Infantil, un centro nato e vissuto grazie ad uno statunitense che ha fatto del “dare l’opportunità di andare a scuola a questi bimbi” la sua ragione di vita. Il centro raccoglie fondi per patrocinare bambini, bambini il cui destino altrimenti sarebbe la strada così come lo è stato per la loro madre e il loro padre.
160 dollari all’anno che fanno la differenza, la differenza non tanto tra la strada e non la strada, ma tra “poter il scegliere” la strada e non sceglierla.

Il diritto di scelta. Dopo anni passati sui libri a studiare svariate forme di diritto, non nego che mi fa un certo effetto, dover parlare di “diritto di scelta”. è un concetto ridondante non trovate? Il diritto ha in sè contenuto il concetto di scelta. Doverlo riaffermare come se fosse un qualcosa di nuovo ed estraneo al diritto stesso, sembra di perdere tempo su temi assodati. In realtà il diritto di scelta, è un diritto che solo noi privilegiati abbiamo. Miliardi di persone al mondo non hanno e non hanno mai avuto diritto di scelta. Per i bambini di Oaxaca, da alcuni anni può essere diverso.

Il centro si occupa di trovare un patrocinatore per questi bimbi: i partecipanti al progetto ad oggi sono prevalentemente stranieri; nessuna persona di Oaxaca patrocina alcun bambino del centro o passa con lui alcune ore del suo tempo; lo stesso stato Messicano non fornisce alcun tipo di aiuto/supporto al centro e ai suoi volontari.
Ma il centro si occupa anche di passare del tempo libero con bambini che altrimenti dovrebbero dedicare la giornata alle vendite in strada. Questo è compito dei volontari, volontari come noi che decidono di dedicare un pò di tempo libero e molto affetto a bambini che evidentemente sono solo in cerca di questo. Bambini che ti si aggrappano per una carezza, che banalmente ti chiedono una caramella, non una play station nuova, una caramella! Volontari come noi che poi, tristemente, scoprono che appena i bambini escono dal centro, sono di nuovo in strada a cercare di venderti qualcosa. Di venderti qualcosa di cui, a questi bambini, non importa nulla! Appena gli offri un biscotto, un lecca lecca, un gelato, si dimenticano il motivo per cui ti avevano avvicinato. Che dura deve essere per un bambino accettare di dover fare per tutto il santo giorno qualcosa di cui non gli interessa niente. Se pensiamo che gli stimoli per un bambino, per la sua crescita, per la sua creatività siano importanti, proviamo ad immaginare cosa passa per la testa di una bambina a cui, dopo averle regalato un cono gelato, viene portato via il regalo dalla stessa madre e in breve rispedita in strada. Io non riesco nemmeno ad immaginare come mi sentirei, perché i miei genitori mai e poi mai mi hanno privata di qualcosa per tenerselo loro. Credo che sia la massima espressione del soccombere, la privazione di ogni diritto, di ogni riconoscimento di essere semplicemente sereni se non felici, il miglior modo per sentirsi “una nullità”, l’ultimo degli ultimi.

Molte volte mi sono chiesta perché come è possibile che un genitore lasci che il proprio bimbino stia in strada tutto quel tempo. Come è possibile trattare un bambino di 6 anni come un adulto: sveglia alle 6, un’ora di viaggio per arrivare dalla propria colonia (qui le chiamano così ma non sono diverse dalle favelas brasiliane) in città, alle 8 la scuola, alle 14 il centro e dalle 16 in poi, fino a mezzanotte, la strada. Ma questi sono ritmi che nemmeno un adulto riesce a sostenere.
Continuavo a chiedermi il perché, com’è possibile che mia mamma mi diceva “non preoccuparti, lo faccio io il letto, lavo io i piatti, tu pensa a studiare”. Come possono essere così diverse le mamme. Pensavo che le mamme fossero mamme in tutto il mondo.
Poi mi è stato dato qualche spunto.

La donna. La donna in questa società è la più discriminata e maltrattata. Spesso stanno con uomini inutili e inetti che oltre a bere e ubriacarsi con i soldi che loro stesse o i figli hanno raccolto durante una giornata di lavoro, le costringono ad avere rapporti sessuali tutte le volte che desiderano. E di nuovo una domanda, perché non usare il profilattico, è così costoso? No affatto, semplicemente perché il profilattico così come la vasectomia, sminuirebbe il concetto di “macho e procreatore” di questi uomini.
Questi uomini incarnano l’ignoranza, l’ignoranza priva di un qualsiasi diritto di sopravvivenza su questa terra. L’ignoranza più bieca di cui mai abbia sentito parlare. Questi uomini, ignoranti inetti e nulla facenti, non si rendono nemmeno conto che non fanno altro che mettere in strada bambini che, se saranno fortunati, e dico fortunati, semplicemente sopravvivranno in un mondo fatto di gente che non li ama, che li metterà a dura prova, che li sottoporrà a stenti e privazioni, il primo tra tutti, la privazione del bene della propria madre. Perché queste donne, arrivate al 12° figlio, non ce la fanno più, non si reggono in piedi, non hanno latte, non hanno tempo, non hanno voglia, non hanno amore per nessuno. Nemmeno per se stesse.

 

I bambini vengono cresciuti dai fratelli e dalle sorelle maggiori. E questo è l’aspetto estremamente bello da osservare in questa comunità, soprattutto se pensiamo che da noi, a volte, spesso, accade che tra fratelli non ci si parli nemmeno per questioni di confronto, di titoli di studio diversi o di eredità mal distribuite. Spesso mi vergogno di come siamo. Guardo questi bambini che hanno occhi scuri profondi e sorridenti, che l’unica cosa di male che fanno è tirarti una manica per avere una moneta che nessuno, nemmeno io gli darà.

Ho imparato a dare qualche caramella, ma non è mai sufficiente. Vogliono i miei orecchini, i miei braccialetti che non valgono nulla e l’unica cosa che mi provocano, sono sentimenti tristi, lacrime che mi scorrono sul viso, perché mi sento inutile anche se nel mio piccolo cerco di dargli una mano facendo volontariato o magari patrocinandone uno.
Poi, mi sono anche chiesta: perché queste donne non si ribellano? Certo è facile per me che sono cresciuta in una società libera e che, seppur permeata da forte maschilismo, non mi sono mai tirata indietro dal dire la mia. Chiaro con conseguenze a volte pesanti, ma che mai minimamente si sono avvicinate a due calci nei polmoni in piena notte perché il mio uomo dopo aver assolto ai suoi bisogni di macho, vuole una birra.
Mi sono anche chiesta perché queste donne a 12 anni si trovano già con un bimbo in grembo. E la risposta è allo stesso tempo così semplice e così triste: perché un bambino è la prima cosa propria che possono avere. Una vita a dividere tutto, tutto anche un pavimento di fango su cui dormire, con fratelli genitori e animali, ti fa pensare che avere una cosa tua sarebbe meraviglioso. Senza comprendere che proprio da lì inizia il loro declino di donna; un figlio diventano 12 e gli ultimi bambini sono così, così privi di sostanze nutritive (il latte stesso delle madri ne è privo) che sono storpi, camminano tutti storti e non riescono nemmeno a tenere la testa alta, ciondolano come clown, hanno i denti cariati, senza unghie, senza tutto ciò che per noi è naturalmente normale.

Dopo aver lasciato Oaxaca, sono arrivata in Chapas e qui la povertà è ancora più profonda e radicata.
I bambini circolano per strada sporchi, senza scarpe, e spesso non sorridono. Qui i bambini che ho visto, spesso piangono e nemmeno la mia banale caramella li rende un pò più sereni. Bambini che portano altri bambini in specie di sacchi da dorso che questa popolazione ha adottato nei secoli per tenere i bimbi sempre con se: quando si lavora, quando si fa da mangiare, quando si va in bagno. Sacchi che costringono questi piccoletti a posizioni innaturali (non sono i nostri passeggini o culle) e che, in piena età dello sviluppo, non potranno che regalare loro, ossa storte e posture errate.
Bambini piccolissimi che vengono allattati per strada, che vengono curati da malattie magari gravi, con sciamani che gli “ruttano” coca cola in faccia.
Bambini che sono ancor meno fortunati dei bambini di Oaxaca perché un centro di accoglienza non ce l’ hanno e la scuola non la vedranno mai in vita loro perché per loro non c’è nessuno che lavora sul famoso “diritto di scelta”.
Queste popolazioni sono le uniche che mantengono un tasso di natalità elevato al mondo. Noi che siamo ricchi e benestanti pianifichiamo i nostri figli in base alle risorse economiche che accumuliamo. I bambini per noi sono un programma di lungo termine e spesso finiamo con non farli. Queste popolazioni sfornano decine di bambini: bambini a cui lasceremo il mondo. Bambini che guardano con invidia altri bambini solo perché indossano un paio di scarpine e non circolano a piedi nudi. Bambini che perdono i loro diritti e ogni senso di eguaglianza fin da piccoli. Bambini che se sono fortunati arrivano a 30 anni dimostrandone 70 per la vita di stenti e privazioni che hanno condotto. Bambini che conoscono la strada meglio di casa loro e che conosceranno la fame, la prigione e molte altre disgrazie.

Non è ai nostri bambini che lasciamo il mondo; è a questi bambini che lo lasciamo, perché sono loro la maggioranza. Chissà forse dovremmo aiutarli di più. Forse dobbiamo fare qualcosa. Forse non basta pianificare un figlio nostro, forse è importante che ci rendiamo conto che oltre a nostro figlio con le scarpine di Armani ci sono bambini con dita dei piedi deformate dal freddo.
Ho pensato spesso che fare qualcosa per loro voglia dire fare qualcosa di grande a livello mondiale, che dedicare qualche ora da volontaria sia troppo poco. Poi mi sono resa conto che non potrò io, piccolina, fare qualcosa di globale, ma che sicuramente tante piccole Melissa e Pierluigi non potranno che indurre sorrisi e magari essere fautori di piccoli ma significativi cambiamenti per questi bambini a cui, anch’io, lascerò il mio futuro.

I bambini non sono mai colpevoli. Banale, detto da molti. Ma i bambini da soli, non sanno, non sono capaci di essere diversi. I bambini, tutti i bambini hanno bisogno. E hanno bisogno di soddisfare bisogni basici come la fame o come l’istruzione, primo baluardo dell’affermazione della propria libertà.
Chi li può aiutare se non noi? Come? Ci sono milioni di modi e se non ve ne viene in mente nessuno, io ho migliaia di suggerimenti tra i quali evitare una cena milanese e dedicare i miei 80 euro ad uno di loro.

Melissa e Pierluigi

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