L’ultimo presidio abitato in cui mangiare e dormire è GorakShep (5140mt). Da qui in poi, una camminata di 3 ore circa e siamo all’Everest Base camp (5340mt). E’ un villaggio di tende gialle situato sul ghiacciaio Kumbu. Siamo alle pendici dell’Everest e quella che ci guarda è la South Face (la North Face è in Tibet, l’Everest è il confine naturale tra Nepal e Tibet). Il Campo base è vissuto da tutti quelli che possono permettersi l’azzardo (a volte fatale) di pagare 80mila$ (20mila se li prende il governo Nepalese) e farsi portare da guide sherpa esperte sul tetto del mondo. Avete capito proprio bene, affidarsi ad una spedizione organizzata per arrivare sulla vetta (8850mt) costa 80mila$ circa. Le probabilità di morire durante la salita o la discesa sono abbastanza alte e comunque non è detto che una guida esperta vi garantisca la sopravvivenza. Chi comanda è la montagna che ogni anno si prende vite umane (se volete un esempio di una storia documentata veramente accaduta leggete “Aria sottile”). Occorrono circa 40 giorni da quando si raggiunge il campo base spesi in allenamento e acclimatamento per poter essere pronti alla vetta. Quando arriva il giorno, si parte dal campo base e in 4 giorni si raggiunge la vetta, ci si sta per pochi secondi e in 1 giorno si riscende. Tra Campo base e vetta ci sono 4 campi intermedi. Ogni anno sono circa 1500/2000 quelli che azzardono una simile cosa. Faccio un giro tra le tende e me ne torno, per la prima volta affaticato, a Gorak Shep (a 5000mt l’ossigeno nell’aria si riduce al 50% e fare pochi passi in altitudine diventa faticoso). L’indomani mattina, sveglia alle 4 per salire sul monte KalaPattar (5550mt), climax del trekking. Si tratta del miglior punto in assoluto da cui contemplare il massiccio dell’Everest (senza necessariamente scalarlo). Resto 3ore in contemplazione, mentre il sole sorge dietro la vetta piu’ alta del mondo.

Si provano delle sensazioni incredibili e difficilmente descrivibili.

Essere parte del creato, essere la creazione stessa. Respirare nel vento il profumo di ginepro e l’odore di nevi vicine ma che arrivano da molto lontano. Meravigliarsi ancora dell’immensita’ di certi spazi, su cui poggiare gli occhi e mettere da parte la mente (che in realta’ vacillando si fa essa stessa da parte). Infine, unirsi con la sorgente e abbeverare l’anima di energie antiche che mi ubicano in certi posti e non in altri. Libero, tengo vivo il contatto con lo spirito maestro.

È stato un viaggio nel viaggio, indimenticabile. Ma d’altra parte “ogni mondo ha dentro un mondo che ha dentro un mondo…” (come dice il Jova). Immersione e liberta’ assoluta. Un uomo, il suo zaino, un bastone, in giro per le valli incantate dell’Himalaya. La senzazione di “into the wild” non e’ mai stata cosi’ forte. La liberta’ di cambiare piani un giorno per l’altro, la necessita’ di farlo in funzione del proprio stato fisico o di incontri che ti prospettano cose a cui non avevi pensato. L’ascolto dei segni.
A piu’ di 5mila mt di altitudine, circondato da Everest, Pumori e Nuptze mi chiedevo “perche’ questi posti sono cosi’ magnetici, sono cosi’ carichi di energia? La risposta che mi sono dato: “Qui sei alla sorgente, sei al termine primo, allo zero. Non c’e’ nulla di piu’ puro. Da qui sorge la vita, e infatti i ghiacciai permettono all’acqua di creare vita scendendo a valle. L’acqua e’ vita. Davanti a me si sta svolgendo la creazione. La sorgente crea in quanto matrice zero. A sua volta e’ creata da un altra matrice zero, l’energia cosmica dell’universo. Credo sia questo a spingere tanti a scalare simili vette. Loro non lo sanno, ma inconsciamente sono attratti dalla possibilita’ di essere per pochi istanti parte della creazione, della vita”.

Pierluigi e Melissa