La nuova tendenza del turismo nucleare

Un’esplosione e poi il fall out, un lampo e poi il deserto. Può sembrare strano, ma non sono pochi coloro che dedicano il loro tempo libero a seguire le tracce che la proliferazione atomica ha lasciato sul pianeta lungo il suo tormentato e inquietante percorso.

Al punto che alcune agenzie di viaggio hanno elaborato specifici itinerari in modo da soddisfare tutte le curiosità che un appassionato può nutrire per approfondire le sue conoscenze a proposito di un fenomeno particolarmente delicato nella storia della vita dell’uomo sulla terra.

Naturalmente bisogna disporre di molto tempo libero e di un budget significativo, visto che le testimonianze sono, ahinoi, ben distribuite in tutto il planisfero. Inevitabile iniziare da Hiroshima e Nagasaki, le due città giapponesi rase al suolo dalle bombe H lanciate dai bombardieri statunitensi per convincere l’imperatore Hirohito a firmare la resa e, di fatto, a porre fine alla seconda guerra mondiale.

Al di là dei test precedenti, si trattò del primo, tremendo impatto della potenza nucleare sul pianeta: un’ecatombe che spinse il Giappone ad arrendersi senza condizioni pur di impedire nuove catastrofi del genere. Di quel cataclisma rimangono a imperitura testimonianza il relitto del palazzo della prefettura di Hiroshima, uno dei pochi edifici rimasti in piedi dopo l’esplosione, centro pulsante del parco della memoria, realizzato proprio per non dimenticare quei giorni tremendi, e il parco della pace di Nagasaki, progettato con le stesse finalità.

Rimanendo in Giappone non può mancare una visita ai resti della centrale nucleare di Fukushima, dove nel 2011, in seguito ad un forte maremoto, si registrarono quattro esplosioni che provocarono uno dei disastri più tragici della storia dell’atomo: la fusione del nucleo di tre dei sei reattori provocò la dispersione nell’ambiente di sostanze radioattive le cui conseguenze si faranno sentire per secoli, scatenando l’ennesimo dibattito sulla pericolosità dell’utilizzo dell’energia atomica per la produzione di elettricità.

Lo stesso che si era scatenato in Europa all’indomani del più grave incidente della storia, quello accaduto alla centrale ucraina di Chernobyl nel 1986, quando una fortissima esplosione disseminò nell’aria dell’intero continente sostanze radioattive in concentrazione fino ad allora mai vista. Se le autorità locali si limitarono a parlare di 15 morti accertate e 4000 casi di tumore riconducibili all’evento, Greenpeace ha invece stimato che le morti in tutta Europa causate da quell’incidente sono state oltre 6 milioni.

Un vero filologo atomico dovrebbe poi partire alla volta di Chantilly, amena località statunitense della Virginia, nel cui museo dell’aviazione è conservato il B-29, “affettuosamente” chiamato “Enola Gay”, che la mattina del 6 agosto 1945 sganciò la prima atomica in Giappone, e tre giorni dopo anche la seconda: un gioiello della tecnologia aeronautica che la mano dell’uomo ha finito per confinare nella cosiddetta banalità del male.

Sempre negli Stati Uniti grande interesse può suscitarlo il Bradbury Science Museum, realizzato a Los Alamos, in New Mexico, per ripercorrere le tappe del progetto Manhattan con cui gli Stati Uniti riuscirono a battere sul tempo la Germania nazista nella realizzazione del primo ordigno nucleare: fu nel deserto della cittadina che infatti venne fatta esplodere la prima bomba sperimentale, fu lì che i fisici ingaggiati dal governo lavorarono per mesi al progetto. Non può nemmeno mancare una capatina al Museo dei Test Atomici di Las Vegas, che documenta la storia dei test nucleari realizzati nel deserto del Nevada: tra le attrazioni più interessanti, un simulatore che riproduce gli effetti di un’esplosione, con annessi e connessi.

Ultima meta, la più affascinante nonostante l’elevato livello di sostanze radioattive presenti nell’aria e nell’acqua, è rappresentata dall’atollo di Bikini, nelle splendide isole Marshall, perla naturalistica in pieno Oceano Pacifico: nel 1946 diventò poligono nucleare americano e gli esperimenti si susseguirono fino all’inizio degli anni Settanta, quando si giunse a contare ben sessantasette esplosioni. Nonostante dal 1997 sia stato dichiarato nuovamente abitabile, l’atollo è rimasto disabitato e non sono molti i turisti che osano sfidare le possibili conseguenze di una permanenza lì: il fascino della tecnologia evidentemente poco può sul timore di una contaminazione dalle conseguenze inimmaginabili.